La mindfulness è stata definita da Siegel (2010) come una forma di consapevolezza dell’esperienza nel momento presente, accompagnata da accettazione e osservazione non giudicante.
Spesso si è soliti confondere erroneamente questa pratica con una ricerca della beatitudine o del vuoto mentale attraverso condotte di ritiro sociale o di ascetismo.
Ѐ dunque sempre bene precisare che lo scopo della mindfulness non è quello di evitare situazioni spiacevoli, causa invece di sofferenza mentale, bensì quello di accettare di stare in qualsiasi forma di esperienza, sia essa positiva o negativa, senza ostinarsi a cambiarla. Il cambiamento, infatti, è un effetto secondario di questa pratica che deriva dalla sostituzione di comportamenti reattivi e disfunzionali con scelte consapevoli appropriate al contesto.
In questo senso, si rivela una pratica molto utile nel trattamento della tossicodipendenza, dove le condotte impulsive legate all’assunzione di sostanze stupefacenti sembrano evidenziare una difficoltà a stare con l’esperienza del momento presente, cercando al contrario ogni modalità di evasione da essa.
Allenarsi ad osservare i propri stati mentali e a lasciarli andare senza giudizio, riportando sempre l’attenzione al qui e ora, sembra essere dunque un efficace strumento per l’autoregolazione, con conseguenti modifiche anche a livello neuronale (Siegel, 2010).
Per questo motivo la DBT (Linehan, 1993), all’interno del suo modello per il trattamento delle condotte impulsive, include saggiamente, insieme ai moduli per la regolazione emotiva, la tolleranza della frustrazione e l’efficacia interpersonale, anche un modulo, trasversale a tutti gli altri, di mindfulness.
Linehan, M. (1993). Cognitive Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorders. New York: Guildford Press.
Siegel, R. D. (2010). The Mindfulness Solution. Everyday Practices for Everyday Problems. New York: Guildford Press.
Dott.ssa Serena Dainese Psicologa