Perché la Comunità Terapeutica?

a cura dell’équipe clinica del Crest

Questa è una domanda importante. I genitori la pongono in vari modi, talvolta timidamente, talvolta preoccupati, talvolta quasi offesi. Per alcuni di essi la necessità di inserire il figlio in una C.T. é segno di gravità e, giacché ciò che è grave spaventa, spesso la soluzione è quella di respingerlo. Altri genitori vivono l’inserimento del proprio figlio in una C.T. come l’affido ad un’altra famiglia, ricavando da questo provvedimento sentimenti di inferiorità e di fallimento. Evitando di prendere in considerazione la C.T., alcuni genitori evitano questi sentimenti. Per altri genitori l’ingresso del figlio nella C.T. significa separazione, allontanamento, distanza. In questo caso il provvedimento della C.T. va proprio a toccare il nocciolo del problema. Sì tratta di famiglie in cui uno o entrambi i genitori hanno costituito con il figlio una relazione prevalentemente fusionale.
Il gioco delle reciproche identificazioni ha fatto si che i figli spesso sono diventati “pezzi” che vanno a completare l’io di uno o di entrambi i genitori. E’ facile capire, in questi casi, come la separazione del figlio coincida anche con un’angosciosa, catastrofica crisi della identità dei genitori, è allo stesso modo comprensibile come in questi casi l’opposizione alla C.T. da parte dei genitori abbia il significato di una difesa contro una grave aggressione dell’io. Non solo questi casi, così sommariamente descritti senza la pretesa di esaurirne l’elenco, costituiscono un ostacolo alla proposta della C.T., vi sono condizioni in cui l’approvazione del progetto C.T, da parte dei genitori non contiene lo stesso significato che i terapeuti attribuiscono al progetto stesso. Si tratta di famiglie in cui vi è una prevalenza di meccanismi espulsivi nella risoluzione dei problemi. Si potrebbe anche dire che il problema come parte cattiva viene scisso dal sistema famiglia ed espulso. In questi casi allora la famiglia si dimostrerà interessata alla C.T. perché in essa individuerà soltanto un meccanismo di allontanamento, sostanzialmente in linea con la strategia famigliare. Tali famiglie, pertanto, si dimostreranno in linea con la C.T. finche essa svolgerà questa funzione di allontanamento e si faranno ostili e poco collaboranti quando la C.T. li chiamerà attivamente a cooperare nel corso del residente nella società. 

Queste annotazioni hanno lo scopo dì sottolineare la necessità di approfondire la struttura famigliare prima di pronunciare la proposta della C.T.. Ma, tornando alla nostra domanda iniziale (“Perché la C.T.?”), sorvoleremo su alcune ragioni già note, come quelle più semplici relative alla funzione protettiva e custodialistica della C.T., e quelle più complicate che ci permetterebbero per esempio di descrivere la C.T. come un laboratorio umano per la riabilitazione ed il rinforzo dell’io, per soffermarci su un aspetto che forse, perché più facilmente intuibile, è trascurato. Intendo parlare del fatto che la C.T. è un mondo chiuso e dei vantaggi terapeutici offerti da questa caratteristica. In questo piccolo mondo chiuso, infatti, esistono una gerarchia con annessi privilegi, attività e funzioni che in piccola scala riproducono analoghi aspetti della società in cui viviamo. Esistono capi, vice-capi, vice-vice-capi e vari altri gradi di una scala gerarchica che comunque può essere risalita, è possibile risalirla, perché costantemente si assiste a questa progressiva ascesa. Questo rassicura e al contempo stimola l’impegno a migliorare, a cambiare laddove quanto più ci si sforza di cambiare tanto più si sale nella scala gerarchica.
Inoltre vi sono delle azioni, dei comportamenti che, all’interno di questo piccolo mondo chiuso, consentono un riconoscimento di stima dagli altri componenti di questo mondo,ma anche da se’. Proprio la ricerca di autostima attraverso il proprio agire e’ un aspetto spesso trascurato nella terapia del tossicodipendente. Qui si dimentica che per un certo aspetto sociale e culturale si assiste ad un progressivo complicarsi dei percorsi che consentano ad un giovane di guadagnarsi un po” di autostima. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa produce e presenta immagini del successo di cui due attributi meritano di essere trattati: la casualità o la fortuna, se si preferisce), e le enormi dimensioni. La casualità’, la fortuna fanno si che lo sforzo, l’impegno a migliorare se stessi, perda di significato. A che serve sforzarsi, correggersi, coltivarsi, migliorarsi, se tutto poi dipende dal caso? Se si rimane coinvolti dalla religione del successo, tale situazione sembra condurre ad una sorta di depressione, alla perdita di interesse per ogni progetto, alla mancanza di reali stimoli.
Si tenga presente che, sempre grazie ai mezzi di comunicazione di massa, non risulta facile per un giovane distogliersi dalla religione del successo. In un tale contesto la droga è comparsa come promessa di un vivere alternativo, fuori dal sistema. Sono di frequente reperimento i commenti sullo squallore della vita “regolare” da parte dei tossicomani. Passiamo al secondo aspetto, quello delle dimensioni. Il successo oggi significa guadagni favolosi, notorietà, relazioni, limiti di trasgressione più ampi, per fermarci, in questo elenco, a questi primi aspetti. In conseguenza di ciò la meta sembra irraggiungibile e terribilmente allettante, e questo ancora porta non solo a mortificare l’impegno e lo sforzo, ma anche a sminuire di significato le mete più comunemente raggiungibili. Anche questo naturalmente riduce la possibilità di guadagnare autostima in relazione al raggiungimento di una meta. Si può pensare che una parte di giovani che già si stanno difendendo dall’angoscia di non poter raggiungere mete comuni svalutandole divengono vittime di un rinforzo di questa svalutazione ad opera dei mezzi di comunicazioni di massa. Si aggiunga a ciò che certe mete, come alcuni titoli di studio, sono svalutate dal fatto di non potere garantire un impiego, e che l’impiego, il lavoro in sè, è svalutato dalle immagini del successo che i media costantemente propongono, e il gioco è fatto. Forse per capire meglio la tossicomania dovremmo studiare la nostra società come un ecosistema, e domandarci se l’introduzione di un elemento nuovo possa produrre un danno all’ecosistema.
Qualche decennio fa nessuno forse avrebbe potuto immaginare che i frigoriferi e i deodoranti spray avrebbero potuto danneggiare la fascia d’ozono intorno alla terra. Così oggi forse non ci preoccupiamo a sufficienza del danno che questa spaventosa ed indiscriminata crescita di informazioni e di immagini possa provocare sulla società. Gli effetti dello svilupparsi della TV come produzione continua di immagini vengono dati assiomaticamente per buoni. I nostri nonni si guardavano fra simili, si trovavano abbastanza simili e trovavano le differenze accettabili; poi arrivò il cinematografo che nei suoi primi passi propose immagini diverse ma incerte. Oggi il cinema e la televisione ci propongono, attraverso la manipolazione delle immagini, donne e uomini bellissimi, vite brillanti, carriere travolgenti; ci guardiamo ancora fra simili e non ci interessiamo più di tanto, mentre dagli schermi e dai rotocalchi ci vengono proposte immagini di un mondo dal quale siamo irrimediabilmente esclusi. La C.T. diventa allora la proposta di un piccolo mondo bonificato, ove gli aspetti sopra citati sono stati neutralizzati, dove è quotidianamente più facile impegnarsi per guadagnare la stima di se e degli altri attraverso “percorsi” e procedure ricondotte alla misura dello sforzo che il paziente può compiere in un contesto in cui allo sforzo e all’impegno è stato restituito il suo significato. Su un terreno di questo tipo risulta credibile applicare una tecnica psicoterapeutica specifica della C.T.

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